“Selezione naturale ed equilibrio mobile della natura”: Wallace, Darwin, Spencer e le sfide dell’evoluzionismo ottocentesco

Wallace Selezione naturale ed equilibrio mobile della natura

Nel bicentenario della nascita di Alfred Russel Wallace, il saggio di Roberta Visone “Selezione naturale ed equilibrio mobile della natura” arricchisce il panorama editoriale italiano degli studi di storia dell’evoluzionismo

Raccontare l’evoluzione e la sua storia, dirne in maniera chiara ed esaustiva gli snodi più intimi, è compito arduo. Per adempiervi, è necessario penetrare a fondo quell’ordito di pensieri con cui s’intesse la trama della storia delle idee.
È questa l’operazione ambiziosa di Roberta Visone, assegnista di ricerca in Storia della Filosofia presso l’Università di Napoli Federico II. Nel suo saggio Selezione naturale ed equilibrio mobile della natura (Liguori, 2022), l’autrice indaga l’evoluzionismo di Alfred Russel Wallace (1823-1913), inserendo la figura del celebre co-scopritore della selezione naturale nato 200 anni fa nel contesto più ampio della biologia ottocentesca.

Interlocutori imprescindibili di questa storia il geologo Charles Lyell (1797-1875), il filosofo Herbert Spencer (1820-1903) e il naturalista Charles Darwin (1809-1882). Visone rileva le sottili dinamiche che plasmarono le relazioni intellettuali tra Wallace e i suoi contemporanei: con lucidità, ne vengono tracciate divergenze e convergenze, in un gioco d’influenze reciproche dai risultati talvolta inattesi. È il caso, ad esempio, degli studi geologici di Lyell, dai quali sia Wallace che Darwin trassero delle conseguenze tanto significative quanto lontane dalle intenzioni originarie del loro autore; o ancora, della confutazione dei principi del lamarckismo che Lyell stesso operò nei propri scritti: confutazione che, pur tuttavia, finì per attrarre l’interesse di Spencer per il pensiero del naturalista francese, inducendolo così a integrare tali prospettive nella propria formulazione filosofica.

Le traiettorie del pensiero evoluzionistico: il finalismo

È forse opportuno, per meglio orientarsi nel lavoro svolto da Visone, distinguere alcune direttrici attraverso cui esso si svolge. Direttrici che, in fin dei conti, vengono a coincidere con le tendenze di fondo della psicologia umana su cui si innestano a più riprese, nelle varie epoche della storia, i diversi dominii della cultura.

Vediamo meglio. Anzitutto il finalismo, secondo cui processi biologici o storici siano intrinsecamente volti a uno scopo. Ci troviamo in presenza di un’idea che affonda le sue radici secoli addietro, e che ebbe un’influenza considerevole sullo sviluppo dell’evoluzionismo ottocentesco. Se Spencer e Wallace ne furono positivamente attratti, l’uno riformulandone i principi nell’ottica di una tendenza evolutiva progressiva, volta al miglioramento dell’organismo e della società, l’altro giungendo a escludere la formazione delle facoltà naturali dell’uomo dai processi di selezione naturale, fu Darwin a opporvisi in maniera consistente. La sua teoria poneva infatti l’accento sulla casualità delle variazioni originatesi, il cui valore adattivo dipendeva da una serie di circostanze la cui direzione non era preordinata dal principio.

Selezione naturale e crisi dell’essenzialismo

Strettamente connesso a questa prospettiva fu anche una visione essenzialista, con cui i nostri autori dovettero confrontarsi. L’idea che gli organismi potessero sì variare, ma mai dipartirsi infinitamente dal tipo originario, era largamente acquisita dalla scienza vittoriana. Tale concezione ebbe importanti ripercussioni per quel che riguarda la ricezione del principio darwiniano più noto e controverso, la selezione naturale. Infatti, se in Darwin tale principio era rivestito di una funzione eminentemente creativa, attraverso cui le variazioni selezionate permettevano l’evoluzione di nuovi adattamenti, per gli altri evoluzionisti si trattava al contrario di un principio con funzione ‘negativa’, destinato a mantenere la variabilità degli organismi entro limiti ben circoscritti, sfoltendo così il numero delle variazioni generatesi. In conseguenza di ciò, mentre Darwin tendeva a considerare la selezione naturale come ben più efficace di quella artificiale, in forza del suo potere creativo, il raffronto con quest’ultima aveva condotto Wallace a una diversa concezione.  Egli, come più in là Spencer, tese a sottolineare il carattere distruttivo della selezione naturale, ovvero la sua tendenza a rimuovere le variazioni inferiori sviluppatesi all’interno di una popolazione. 
 

L’uomo è parte della natura?

Vi è poi la questione dello specismo (human exceptionalism in area anglosassone), idea estremamente influente nel corso del XIX secolo (e non solo). Si tratta, in breve, della tendenza a ritenere la specie umana separata dal restante regno animale. È una concezione che ebbe le sue radici in un ambiente prevalentemente creazionista, ma che non tardò a manifestarsi nel dibattito contemporaneo subito dopo la pubblicazione dell’Origine delle specie di Darwin, nel 1859. Fu dietro tale concezione che si annidò il rifiuto, da parte di numerosi biologi del tempo, della selezione naturale. Infatti, mentre si ebbe poca o nessuna difficoltà ad accettare il principio della discendenza comune – peraltro già presente nel dibattito pre-darwiniano – non mancarono le riserve verso l’operare del principio di selezione. Si temeva in particolare che lo sviluppo degli organismi, una volta sottratto al potere divino e affidato alla selezione, finisse irrimediabilmente in balìa del caso.

A questo riguardo, è opportuno aprire una breve parentesi. Al giorno d’oggi gli addetti ai lavori sanno benissimo che l’equazione selezione naturale = evoluzione casuale/cieca è erronea, anche solo per il fatto che sebbene le variazioni siano all’origine casuali, i processi di selezione hanno un certo grado di determinismo. Tuttavia, a metà Ottocento, la questione appariva sotto tutt’altra luce. Fu estremamente facile, a teologi e intellettuali anti-darwiniani insieme, associare il principio della selezione naturale al puro caso, senza contare le derive ateistiche di cui tale associazione si sarebbe fatta portatrice, ma anche le reazioni da ‘parte laica’. Fu proprio per tali ragioni che se pensatori come Spencer tesero a ridurre l’efficacia e l’importanza della selezione naturale per le dinamiche evolutive, naturalisti come Wallace giunsero persino a slegare dalla sua influenza l’evoluzione delle facoltà morali umane, per assegnarne lo sviluppo a fenomeni soprannaturali. Come si diceva, dunque, lo specismo offriva di che opporsi alla ricezione dell’evoluzionismo darwiniano, soprattutto attraverso un radicamento ulteriore di istanze politiche e religiose già ben consolidate.

Una natura armoniosa

Veniamo dunque ad un altro fattore, ben evidenziato da Visone, su cui vorremmo soffermarci per completare il quadro del contesto culturale tracciato nel libro: facciamo riferimento all’armonia della natura, una concezione ben presente ai nostri autori. C’è da dire che se gran parte degli intellettuali aveva già impiegato la metafora della lotta per l’esistenza per descrivere i processi in atto in natura e nelle società umane, essi se n’erano serviti per far risaltare ancor di più la bontà divina nella preservazione di un certo equilibrio armonioso della creazione. Ancora su questo punto, Spencer e Wallace si rivelarono più accondiscendenti di Darwin, che al contrario con la sua teoria aveva minato alle fondamenta detto equilibrio, sconvolgendone per sempre la validità teorica nell’indagine del mondo naturale.

L’evoluzione del pensiero evoluzionistico

Attraverso questa breve panoramica, abbiamo cercato di fornire al lettore alcuni dei possibili elementi chiave per la lettura del lavoro di Visone.

A questo punto, si impongono alcune riflessioni conclusive sulla portata generale del saggio. Avevamo iniziato il nostro racconto facendo riferimento a quell’intreccio d’idee e autori così intimo alla storia del pensiero. Vorremmo ora ritornarvi per evidenziare nuovamente tale nesso. Quel che ben risalta dallo studio, è infatti la dialettica continua tra cultura (scienza, filosofia, religione…), società, e gli individui che ne fanno parte.

Le idee di questi ultimi si elaborano sempre sullo sfondo di un contesto sociale vario, mai lineare e talvolta in contraddizione con sé stesso. A loro volta, le idee elaborate dai singoli generano ulteriori problematiche, una volta ‘reimmesse’ nell’universo sociale. Beninteso, abbiamo voluto semplificare un po’: basta scorrere il saggio di Visone per rendersi conto come la genesi e l’evoluzione di un’idea sia più sovente l’opera di un coro a più voci che di un solista. E tuttavia le dinamiche di azione e reazione ch’essa scatena possono dipingersi talvolta con grande accuratezza storica. Senza uscir fuor di metafora, potremmo studiare l’evoluzione delle idee sulla falsariga delle prospettive di cui ci serviamo per comprendere l’evoluzione biologica. Avremmo così delle idee che variano da un’originaria visione culturale comune, alcune delle quali si adattano e altre si estinguono… come che sia, abbiamo anche qui un’evoluzione non finalistica, sempre aperta a nuovi e imprevedibili scenari intellettuali.

Per quanto sia aspra la lotta delle idee per l’esistenza, è proprio attraverso di essa che si dispiega la forza creatrice dello spirito, la cui attività non può mai prescindere da un confronto serrato, sia esso polemico o argomentato, con i prodotti più diversi e fecondi della storia intellettuale della nostra specie.