Recensione di ‘La forma degli animali’

Nel saggio introduttivo in effetti Conte riconduce il pensiero dell’autore agli studi di morfologia di Goethe, ricostruendone il percorso anche da un punto di vista filosofico. Lo scopo di Portmann è ampliare la visione della zoologia, perché gli studi sugli animali includano non solo ciò che è interno e invisibile (gli organi, le cellule, indagati tramite la dissezione e i microscopi), ma anche ciò che è esterno e visibile (le forme, la pigmentazione, i pattern di strutture e colori che caratterizzano i corpi degli animali). La forma degli animali non è dunque solamente un saggio scientifico – preso esclusivamente come tale farebbe storcere il naso a molti biologi – ma anche una articolata rilettura della conoscenza umana del mondo da una prospettiva olistica, che integri la primaria ricerca scientifica di conoscenza e dominio sulla natura con uno sguardo di stupore e meraviglia per l’immensa varietà degli esseri viventi.
Per Portmann la questione è chiara. Se la scienza si addentra solo nell’invisibile, per dare una spiegazione funzionalistica del vivente, può trarne solo una visione parziale: «concentrandoci su ciò che è estremamente celato […], finiamo per perdere di vista le grandi manifestazioni sensibili degli esseri viventi che ci circondano» (pp. 11-12). Il suo discorso vuole dunque recuperare una porzione trascurata di studi, quella che indaga l’apparenza e i suoi significati. Per questo nei successivi capitoli Portmann si prodiga in numerosi esempi sull’incredibile varietà di colori e strutture del mondo animale, accompagnando il testo con molte illustrazioni in bianco e nero (per la maggior parte opera di Sabine Bousani-Baur).
Il desiderio è quello di ampliare lo spettro di indagine della biologia, come viene chiarito a conclusione del volume: «[L]’apparenza fenomenica possiede un proprio specifico valore, questa varietà non rappresenta un fortuito sottoprodotto dell’evoluzione: per noi l’apparenza si inserisce nel quadro dell’accadere complessivo allo stesso titolo dell’impronta – tipica di un determinato gruppo – degli organi metabolici, delle strutture nervose e sensoriali e degli apparati riproduttivi» (p. 230). Un ampliamento che suona come una non troppo velata critica a una visione considerata troppo ristretta del pensiero biologico: «La biologia deve quindi ampliare la propria concezione del vivente, spesso ridotta al circuito funzionale della conservazione della specie e dell’individuo» (p. 231).
Il saggio di Portmann dimostra una conoscenza sterminata del mondo animale, e un amore genuino per lo studio della biodiversità, ma rimane ancorato a una impostazione al fondo polemica, risultando oggi sorpassato da un punto di vista teorico. Il recupero dell’edizione italiana ha più che altro un interesse storico, come tassello importante nel rinnovato fiorire di studi interdisciplinari tra scienza ed estetica.
Stefano Locati
Adolf Portmann, La forma degli animali. Studi sul significato dell’apparenza fenomenica degli animali, Raffaello Cortina, Milano 2013, pp.248, € 24,00