Quanto è realmente “lamarckiana” l’eredità dei caratteri acquisiti?

giraffa caratteri acquisiti

Numerosi Autori usano l’espressione eredità lamarckiana in relazione all’eredità dei caratteri acquisiti, ma è storicamente corretto? Pikaia ha riletto per voi Erasmus Darwin e Jean-Baptiste de Lamarck.

Nel corso dell’ultimo decennio l’espressione “eredità lamarckiana” è tornata a essere molto comune nella letteratura scientifica, grazie alle recenti scoperte legate all’epigenetica. In particolare, è stato osservato che sia il DNA che gli istoni (le proteine associate al DNA) possono subire, anche su stimolo ambientale, modificazioni chimiche, che possono essere ereditate da cellula a cellula durante i processi di duplicazione cellulare e, talvolta, da individuo a individuo.

Il fatto che una attività o un comportamento possano indurre cambiamenti chimici sul DNA ha portato molti genetisti e biologi molecolari a identificare queste modificazioni chimiche con l’eredità dei caratteri acquisiti proposta all’inizio dell’Ottocento da Jean-Baptiste de Lamarck (1744-1829) nella sua opera Philosophie zoologique (su Pikaia ne abbiamo parlato qui e qui). Alcuni biologi molecolari, tra cui statunitense Michael Kirtland Skinner, hanno addirittura suggerito la necessità di formulare una nuova teoria dell’evoluzione, che unifichi Darwin e Lamarck. 

“Lamarck propose nel 1802 l’idea che l’ambiente può alterare direttamente il fenotipo in modo ereditabile. L’epigenetica ambientale e l’eredità epigenetica transgenerazionale forniscono meccanismi molecolari per questo processo. Pertanto, l’ambiente può influenzare direttamente la variazione fenotipica a livello molecolare. La capacità dell’epigenetica ambientale di alterare direttamente la variazione fenotipica e genotipica può avere un impatto significativo sulla selezione naturale (…). Serve proporre una teoria unificata dell’evoluzione per descrivere l’integrazione degli aspetti epigenetici ambientali e genetici dell’evoluzione”. M.K. Skinner, Environmental epigenetics and a unified theory of the molecular aspects of evolution: a neo-Lamarckian concept that facilitates neo-Darwinian evolution, in «Genome Biology and Evolution», 7, 2015, p. 1296.

Al di là dei tanti dubbi relativi ai meccanismi (ancora poco chiari) con cui le modificazioni epigenetiche possono essere effettivamente ereditate e alla reale diffusione di tale forma di eredità, la scelta di denominare come lamarckiana questa forma di “memoria” appare decisamente non corretta né da un punto di vista storico né a livello epistemologico. 

Prima di Lamarck

Sul finire del Settecento, Erasmus Darwin (1731-1801), noto medico inglese nonché nonno di Charles Darwin, diede alle stampe la Zoonomia, or the Laws of Organic Life. L’opera, che ebbe un ampio successo internazionale tanto da essere tradotta negli anni successivi in tedesco, francese e italiano, presentava numerosi argomenti di ambito medico e includeva anche una sezione dedicata all’evoluzione dei viventi e al variare delle forme animali durante lo sviluppo.

Dal primo loro embrione o rudimento sino al terminar della vita – scriveva E. Darwin–, tutti gli animali vanno subendo perpetue trasformazioni, le quali sono in parte tradotte dai loro propri esercizi, in conseguenza dei loro desideri e delle loro avversioni, piaceri e dolori, irritazioni e associazioni e molte di tali forme e inclinazioni così acquisite sono trasmesse alla prole”.


Secondo Erasmus Darwin quindi le leggi di natura avrebbe dotato gli animali della

capacità d’acquistar nuove parti, accompagnate da nuove propensioni o appetiti, diretti da irritazioni, sensazioni, associazioni, volizioni; ed in tal modo aventi la facoltà di continuare a perfezionarsi per attività loro propria ed inerente e tramandare il loro perfezionamento di generazione in generazione”.

Queste due citazioni sono molto interessanti in quanto mostrano chiaramente che secondo il medico inglese le specie animali cambiano nel corso del tempo e tali cambiamenti sono guidati dalla volontà di migliorare una data struttura; tali innovazioni sono poi ereditate dalla prole.

Per esso il naso del porco si indurì onde poter volgere sottosopra il terreno in cerca di insetti e radici. La tromba dell’elefante è un allungamento del naso allo scopo di poter tirar giù i rami degli alberi di cui si ciba senz’aver da piegar le ginocchia. (…) Tutte le forme sembrano essere state gradatamente prodotte dai perpetui sforzi degli animali stessi per provvedere al bisogno d’alimento e tramandate alla rispettiva progenie con quel costante perfezionamento che andarono acquisendo nel servire a quegli usi determinati”. E. Darwin, Zoonomia, sez. XXXIX, Stamperia di Angelo Trani, Napoli, 1805, p. 153. 

In un ulteriore passaggio molto interessante, E. Darwin suggerisce che quello che accade nell’evoluzione, si può vedere riassunto nella metamorfosi del girino, che «acquista gambe e polmoni quando ne abbisogna e perde la cosa quando non è più utile per servirgli ad alcun uso». Per altro, suggeriva il medico inglese, «coll’acquisto di parti nuove, si acquistano nuove sensazioni, nuovi desideri, nuove potenze» e saranno questi a guidare la genesi di ulteriori nuove strutture.

Troviamo quindi chiaramente enunciate nell’opera di E. Darwin non solo l’eredità dei caratteri acquisiti, ma anche i concetti di uso e disuso, per cui ciò che serve viene migliorato, mentre quello che ha perso la propria utilità è perso, elementi solitamente considerati “lamarckiani”.

Lo stesso Charles intravide nella Zoonomia una chiara anticipazione della proposta di Lamarck. Nella copia della Zoonomia che Darwin ereditò dal padre compare, infatti, più volte l’annotazione “Lamarck!” a fianco di questi passaggi, aspetto che Darwin riprese anche in una lettera a Thomas H. Huxley del 9 gennaio 1860 in cui scrisse: «è curioso osservare quanto mio nonno (in Zoonomia vol. I, p. 504) abbia dato, in maniera accurata ed esatta, alla teoria di Lamarck […] Lamarck ha pubblicato la Philosophie zoologique nel 1809. La Zoonomia è stata tradotta in molte lingue».

Alle origini dell’eredità dei caratteri acquisiti
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare sarebbe errato pensare che E. Darwin sia stato un ispiratore di Lamarck, in quanto la Zoonomia venne tradotta in francese solamente nel 1810, ovvero dieci anni dopo la pubblicazione della “Prolusione” (Discours d’ouverture) al corso di Zoologia del 1800, in cui Lamarck anticipava la propria proposta.
Inoltre, vi sono in realtà numerose differenze tra l’opera del medico inglese e quella del naturalista francese, perché per il primo i caratteri acquisiti lo sono per effetto della volontà, mentre per Lamarck l’elemento chiave è l’adattamento al cambiamento dell’ambiente. Nell’idea di Lamarck, infatti, le funzioni proprie degli organismi rispondono sempre alle caratteristiche degli ambienti in cui essi vivono, ma nella sua idea la forma segue la funzione: nuove necessità portano a nuove abitudini da cui deriva la trasformazione delle strutture.

In Lamarck non si trova quindi nella realtà l’effetto di una ineffabile volontà dell’animale, quanto un cambiamento indotto dall’ambiente, ma “le variazioni dell’ambiente inducono cambiamenti nei bisogni, nelle abitudini e nel modo in cui vivono gli esseri viventi (…) e queste trasformazioni danno origine a modificazioni o a cambiamenti nello sviluppo degli organi e nella forma delle loro parti”.

Non solo quindi l’eredità dei caratteri acquisiti non è “lamarckiana”, ma non lo è neppure il richiamo alla volontà del cambiamento, che solitamente è associata alla proposta del naturalista francese. Andando a leggere con attenzione le opere di Lamarck e E. Darwin emerge chiaramente che molte affermazioni che noi oggi definiamo “lamarckiane”, sono in realtà più tipiche del secondo.

Lamarck e E. Darwin per altro non ritennero necessario spiegare le basi di funzionamento dell’eredità dei caratteri acquisiti, in quanto a loro avviso questa proposta non necessitava di essere spiegata, tanto era una idea diffusa del modo in cui i caratteri sono ereditati. L’eredità dei caratteri acquisiti era parte di una tradizione più antica, tanto che la sua origine può essere ricondotta a Ippocrate, Galeno e Aristotele. Ben prima di Lamarck e E. Darwin questa idea era stata accolta come pienamente accettabile anche da numerosi naturalisti del Seicento e del Settecento. Come suggerì il botanico e storico della scienza Conway Zirkle in una ricca analisi storica pubblicata nel 1946, la vera sfida non è trovare sostenitori di questa proposta, quanto identificare quei pochi intellettuali e naturalisti (tra cui il filosofo Immanuel Kant e il naturalista Charles Bonnet) che a inizio Ottocento non credettero nell’eredità dei caratteri acquisiti.

Estrarre una sola parte di una teoria di un Autore, tanto più se essa non è originale, è errato da un punto di vista metodologico e per altro, nel caso specifico, svilisce l’opera di Lamarck anziché renderle i dovuti meriti. La proposta di Lamarck merita di essere apprezzata nel suo complesso e non come fosse una sorta di tentativo sbandato e immaturo, fatto di alcune (poche) buone intuizioni perse tra tanti elementi imperfetti.

Un approfondimento di questo tema è presente nell’articolo All’origine dell’eredità dei caratteri acquisiti:rileggere Erasmus Darwin e Jean-Baptiste de Lamarck per ricordarne la vera identità, pubblicato a fine 2022 sulla rivista S&F_Scienza e Filosofia, che presenta anche un interessante dossier dedicato alla teoria dell’evoluzione tra errori e fraintendimenti.

Immagine: Daniel Ramirez from Honolulu, USA, CC BY 2.0, attraverso Wikimedia Commons