Pregi e difetti genetici del cavallo addomesticato

Il sequenziamento del genoma di due antichi cavalli, dai loro resti conservati nel permafrost, ha permesso di mettere in evidenza i geni favoriti dalla selezione artificiale nei loro discendenti moderni

Che piante e animali domestici siano profondamente differenti dai loro antenati selvatici è stato dimostrato in tutte quelle specie per cui è ancora possibile trovare popolazioni non selezionate dall’uomo in natura. Dove questo confronto è stato possibile, come per esempio in piante di riso e pomodoro, oppure animali come il cane, è sempre emerso che la selezione dei geni capaci di conferire le caratteristiche volute dagli allevatori si accompagna all’accumulo di difetti genetici che rendono gli individui domestici meno adatti a sopravvivere negli ambienti d’origine della loro specie. La fragilità degli animali domestici rispetto ai loro parenti selvatici ha portato così a formulare quella che viene chiamata la teoria del costo genetico dell’addomesticamento.

Un segno nella storia
Sarebbe di grande interesse scoprire se questo costo genetico ha riguardato anche l’addomesticamento di un animale come il cavallo, che ha segnato in maniera profonda la storia delle civiltà umane: con i suoi profondi effetti sull’agricoltura, sullo scambio di merci e idee, sulla guerra, il cavallo addomesticato ha contribuito alla nascita, così come alla scomparsa, di intere civiltà. Ma quale è stato il prezzo pagato dal cavallo per questo servizio? Forse il costo più grande per la specie è stato l’accesso dell’uomo alle grandi pianure erbose, garantito paradossalmente proprio dai cavalli domestici, che ha ridotto sempre più lo spazio per la loro controparte selvatica: anche se esistono vari gruppi di cavalli inselvatichiti che vivono senza contatti con l’uomo, l’unica popolazione superstite attuale di cavalli veramente selvatici, che non abbiano mai conosciuto sella o briglie, è costituita dai Przewalski della Mongolia. Tutti gli attuali componenti di questo gruppo di cavalli discende però da solo 13 individui che vivevano in semicattività, unici sopravvissuti alle pressioni antropiche sul loro ambiente. Il declino delle popolazioni selvatiche rende difficile stabilire quali siano stati i costi, o i benefici, genetici cui sono andati incontro i cavalli domestici. La mancanza di una popolazione allo stato brado rende infatti impossibile effettuare un confronto fra il pool genetico “originale” con quello della popolazione domestica derivata dalla selezione artificiale.

Antico DNA in frigorifero
Per aggirare l’ostacolo, Mikkel Schubert dell’Università di Copenhagen, in una vasta collaborazione fra ricercatori europei e statunitensi, ha pensato di sequenziare l’intero genoma di due antichi esemplari equini le cui ossa erano conservate nel permafrost della penisola del Taymyr, nella Siberia russa. Al termine del loro lavoro i ricercatori hanno scelto due individui in cui la conservazione del materiale genetico era sufficiente per una lettura soddisfacente: una femmina e un maschio i cui resti sono stati datati con il radiocarbonio rispettivamente a 42.692 e 16.099 anni fa, ben prima quindi delle prime prove archeologiche di domesticazione di questi animali, datate a circa 5.500 anni fa. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista scientifica PNAS. Il confronto fra i genomi antichi e moderni in relazione a vari geni, già identificati per essere associati a fenotipi desiderabili nei cavalli moderni, ha dimostrato che molti degli alleli selezionati dagli allevatori erano presenti anche negli esemplari selvatici antichi, anche se non tutti nello stesso individuo e spesso in condizione di eterozigosi. Pare che, più che concentrarsi su mutazioni rare o recenti, l’allevamento abbia avuto l’effetto di distillare e concentrare negli individui domestici gli alleli desiderabili già presenti nella popolazione selvatica.

Più veloci, meno paurosi
Gli autori della ricerca hanno utilizzato il confronto fra i genomi antico e moderno anche per provare a individuare nuovi geni su cui la selezione artificiale ha lasciato un segno: utilizzando quattro algoritmi statistici complementari e prendendo in considerazione solo i siti che mostravano un’alta probabilità di essere stati selezionati secondo almeno due di questi algoritmi, i ricercatori hanno scoperto 125 nuovi tratti che presentano differenze significative fra il DNA degli equini moderni rispetto a quello dei loro antenati. A dimostrazione dell’efficacia del metodo, quasi tutti i tratti di DNA contenenti geni già individuati come oggetto di selezione positiva sono stati individuati da due o più degli algoritmi. La maggior parte dei nuovi tratti trovati nella ricerca risulta contenere geni che nel cavallo, o in altri mammiferi, risultano implicati nello sviluppo e nella fisiologia di ossa, muscoli, o apparato circolatorio. Alcuni però contengono geni implicati nello sviluppo del sistema nervoso centrale, tra cui qualcuno già noto per essere implicato in comportamenti ansiosi o di paura: Gli autori ritengono che l’effetto cercato da chi ha selezionato questi geni fosse la capacità di comprendere gli ordini umani e un’ indole mansueta per eseguirli, ma anche di la capacità di affrontare senza fuggire situazioni spaventose o stressanti per un animale (si pensi a un cavallo che cammina disciplinato nel mezzo di una battaglia, dove qualsiasi animale selvatico fuggirebbe alla massima velocità).

Ogni vantaggio ha un costo
Il costo della domesticazione ha preteso il suo prezzo anche per i cavalli: Schubert e colleghi hanno dimostrato nel genoma dei cavalli moderni numerose mutazioni potenzialmente deleterie, molte delle quali, per di più, presenti allo stato omozigote. Un ulteriore dato interessante, per quanto poco confortante, è stato rilevare livelli simili di mutazione e eterozigosi, rispetto agli antichi antenati, anche nei Przewalski mongoli. I danni genetici prodotti a una popolazione sembrano essere il frutto dei colli di bottiglia che questa popolazione ha subito a causa dell’uomo; indipendentemente che questi colli siano prodotti dal deliberato tentativo di forzare la specie nella direzione voluta, o solo la conseguenza casuale di caccia e raccolta eccessivi oppure della distruzione degli habitat. Viene da chiedersi quante specie presenti oggi sulla terra si possano ormai chiamare davvero selvatiche.

Riferimenti:
Schubert M, Jónsson H, Chang D, Der Sarkissian C, Ermini L, Ginolhac A, Albrechtsen A, Dupanloup I, Foucal A, Petersen B, Fumagalli M, Raghavan M, Seguin-Orlando A, Korneliussen TS, Velazquez AM, Stenderup J, Hoover CA, Rubin CJ, Alfarhan AH, Alquraishi SA, Al-Rasheid KA, MacHugh DE, Kalbfleisch T, MacLeod JN, Rubin EM, Sicheritz-Ponten T, Andersson L, Hofreiter M, Marques-Bonet T, Gilbert MT, Nielsen R, Excoffier L, Willerslev E, Shapiro B, Orlando L. Prehistoric genomes reveal the genetic foundation and cost of horse domestication. Proc Natl Acad Sci U S A. 2014 Dec 30;111(52):E5661-9. Doi: 10.1073/pnas.1416991111.

Immagine da Wikimedia Commons