L’ascesa dell’eurocreazionismo

Il creazionismo in Europa è in crescita. Che impatto può avere questo fenomeno sulla comunicazione dell’evoluzione?

Gli Stati Uniti hanno un problema con l’evoluzione. Non sono certo i soli – come dimostrano, per esempio, i dati sui paesi dell’America Latina, dove una disarmante quantità di persone è convinta che gli esseri viventi non si siano mai evoluti – ma il dibattito americano su questi temi ha conquistato grande visibilità. Merito, purtroppo, della grande influenza dei movimenti creazionisti e pseudocreazionisti americani. Influenza che nasce agli inizi del Novecento, dai timori verso il modernismo e dalla crescente diffusione del fondamentalismo cristiano, e che oggi può contare su forti supporti politici ed economici. Gli Stati Uniti hanno il triste primato del paese con il maggior numero di musei creazionisti e i tentativi di insinuare insegnamenti creazionisti nei programmi di scienze delle scuole pubbliche hanno dato vita alla dottrina del Disegno Intelligente.

Ma il creazionismo non è un problema esclusivo di chi vive al di là dell’Atlantico. In Turchia, solo una persona su quattro ritiene che l’uomo abbia antenati in comune con gli altri animali. Ancora meno che negli USA.

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Figura 1 – Opinioni sull’evoluzione in diversi paesi (fonte)

Come evidenziato dalla tabella qui sopra, quello della Turchia sembra un caso isolato in Europa, viste le alte percentuali di accettazione della teoria in molti altri paesi del Vecchio Continente. Ma il problema del creazionismo esiste anche da noi, come segnala un articolo di Stefaan Blancke e Peter C. Kjærgaard, pubblicato a ottobre su Scientific American, e sembra destinato a crescere. A differenza di quello statunitense, il creazionismo europeo non è una comunità compatta e ben supportata, e varia molto da paese a paese. In Scandinavia ha uno scarso impatto ed è limitato a piccole comunità religiose locali. Nei Paesi Bassi ha trovato terreno fertile fra molti protestanti ortodossi. In Russia, ha molto sostegno fra le élite religiose. Una situazione frammentata ma non per questo rassicurante.

Dopo aver mantenuto a lungo un basso profilo pubblico, il creazionismo europeo ha iniziato ad alzare la testa e a promuovere iniziative di propaganda. Un problema non solo scientifico ma anche politico e culturale, poiché l’obiettivo principale dei creazionisti è sempre lo stesso: insinuarsi nei programmi scolastici e distorcerne i contenuti scientifici sull’evoluzione. E, su questo, possono contare sull’esperienza accumulata dai loro colleghi d’oltreoceano in quasi cento anni di iniziative legali. La strategia di infiltrazione nelle scuole statunitensi, infatti, si è evoluta grazie a un processo – ironia della sorte – di differenziazione e selezione naturale, come ha dimostrato Nicholas Matzke, ricercatore della Australian National University. Nel corso del tempo, i riferimenti alla religione sono andati calando, sostituiti dall’approccio pseudoscientifico del Disegno Intelligente, finché anch’esso – e le istituzioni che lo rappresentano, a partire dal Discovery Institute – hanno iniziato a diventare meno credibili agli occhi di alcuni legislatori. L’evoluzione di queste strategie è andata di pari passo con una propaganda sempre più organizzata ed efficiente, che sfrutta a proprio vantaggio la complessità dell’argomento, si aggrappa a quei pochi critici laici come Thomas Nagel, Jerry Fodor e Massimo Piattelli Palmarini, e cita a sproposito scienziati critici verso alcuni aspetti del neodarwinismo (ma che in realtà non sono antidarwinisti). In mancanza di basi scientifiche, la loro critica si poggia esclusivamente sulla retorica e su ambigue iniziative legali.

È quindi importante mantenere alta l’attenzione su queste derive eurocreazioniste, senza però dimenticare che l’Europa ha un background culturale ben diverso da quello statunitense. Negli USA, lo scontro è fortemente polarizzato e ciò ha spinto parecchi divulgatori scientifici ad adottare un approccio molto radicale e conflittuale. In certi casi, poi, gli attacchi al creazionismo sfociano in attacchi contro la religione in generale. Ma se si guarda all’opinione sull’evoluzione che gli americani hanno in relazione alle loro confessioni religiose, si nota che l’opposizione maggiore proviene soprattutto da alcune di esse, e cioè evangelici protestanti (il cuore profondo della famigerata Bible Belt), mormoni e testimoni di Geova.

Belief in evolution by religious tradition
Figura 2 – Opinione sull’evoluzione in base alla fede religiosa (fonte).

Ciò che emerge da questa tabella è che non si può quindi ridurre la contestazione della teoria dell’evoluzione a una mera e generica questione religiosa, viste le profonde differenze fra fedi diverse. Senza contare che le confessioni più antievoluzioniste sono influenti negli USA ma in Europa hanno un peso molto più scarso, a livello politico ma anche religioso. E senza contare che ci sono tantissime persone di fede, scienziati e non, che non hanno problemi con la scientificità della teoria.

L’eurocreazionismo non rappresenta, secondo Blancke e Kjærgaard, la principale minaccia alla comprensione dell’evoluzione. Forse hanno ragione, ma di certo non va sottovalutato. La sua natura ideologica e le sue strategie retoriche sono difficili da affrontare e possono fare presa su chi condivide, almeno in parte, le posizioni politiche e culturali, oltre che religiose, dei creazionisti e di chi li supporta.

Come concludono anche i due autori dell’articolo di Scientific American, contrastare il fondamentalismo creazionista potrebbe essere un’ottima occasione per migliorare la comunicazione della scienza in ambito evolutivo. Per esempio, facendo chiarezza sui tanti falsi miti che permangono nell’opinione pubblica, dall’immagine della marcia del progresso all’idea che l’evoluzione sia guidata da un caso cieco e assoluto. E mostrando il dibattito scientifico per quello che realmente è: uno scambio di idee vivace, intenso, ricco di stimoli e opinioni diverse, lontano dal dogmatismo, nell’ambito del quale si discute di revisioni o riforme e del peso dei vari meccanismi che concorrono al processo evolutivo, senza per questo buttare via il darwinismo e ricominciare da zero, come suggeriscono molti contestatori. Inconsapevoli (o forse no) che la scienza non funziona così.

Oltre a ciò, si potrebbe anche cambiare il modo stesso di fare comunicazione sull’argomento. Per esempio, adottando un approccio meno basato sulla logica del muro-contro-muro, che serve solo a radicare posizioni (non solo scientifiche) già consolidate ma non a stimolare o soddisfare la curiosità dei tanti che si affacciano a questo tema per capirne di più. Scansando la trappola del falso equilibrio, che negli USA ha già fatto danni: solo due americani su tre ritengono infatti che gli scienziati siano concordi sull’evoluzione, quando in realtà il consenso è pressoché unanime. Evitando di tirare in ballo la religione, con argomenti che oltre a essere sbagliati rischiano di essere anche controproducenti.

Il che non significa assumere una posizione più morbida e accomodante. È giusto criticare chi, per esempio, definisce falsa la teoria pur ammettendo di non averla studiata a fondo. È giusto correggere chi cita erroneamente l’evo-devo come alternativa al neodarwinismo o chi fa leva sulla presunta infalsificabilità di quest’ultimo, tirando di mezzo Karl Popper ma dimenticando che lui stesso, dopo i dubbi iniziali, ha dichiarato di essersi sbagliato e ha fatto dichiarazioni ferme sulla solidità scientifica della teoria. Ed è ancora più giusto contrastare con forza il creazionismo, che di tutte le forme di contestazione della teoria dell’evoluzione è la più dannosa. Perché a ispirarla c’è un fanatismo non solo religioso ma anche politico e perché non esita a sfruttare una propaganda retorica ambigua ma, purtroppo, efficace, che distorce la scienza per fini ideologici.

Immagine: By No machine-readable author provided. Mycota assumed (based on copyright claims). [Public domain], via Wikimedia Commons