Il genoma dei giganti delle pianure

Non è una novità che uomini, scimpanzé e gorilla siano molto simili, sia anatomicamente che fisiologicamente. Già Darwin e il suo fedele “mastino” Huxley lo sostennero quando discussero dell’origine dell’uomo. Recentemente studi molecolari hanno supportato questa ipotesi. Grazie al sequenziamento dei genomi di orango e scimpanzé, sappiamo che siamo più vicini alle scimmie africane che agli oranghi. Che dire del

Non è una novità che uomini, scimpanzé e gorilla siano molto simili, sia anatomicamente che fisiologicamente. Già Darwin e il suo fedele “mastino” Huxley lo sostennero quando discussero dell’origine dell’uomo. Recentemente studi molecolari hanno supportato questa ipotesi. Grazie al sequenziamento dei genomi di orango e scimpanzé, sappiamo che siamo più vicini alle scimmie africane che agli oranghi. Che dire del nostro grosso cugino gorilla? In seguito ad uno studio congiunto di diversi gruppi in tutto il mondo, il suo genoma è ora pubblicato su Nature!

I “volontari” per l’analisi sono una femmina di gorilla di pianura occidentale (Gorilla gorilla gorilla) di nome Kamilah e altri due individui della stessa sottospecie: un maschio di nome Kwanza e un’altra femmina dallo sfortunato nome EB(JC). Ha contribuito con il proprio genoma anche un gorilla di pianura orientale (Gorilla beringei graueri) di nome Mukisi. In questo modo è stato possibile confrontare diverse specie all’interno del genere Gorilla.

A partire dai dati ottenuti è stato effettuato un allineamento con genomi di uomo, scimpanzé, orango e macaco. Lo scopo: stimare le dimensioni delle popolazioni coinvolte nella speciazione nonché i tempi che questo processo ha comportato. Cercando una concordanza tra resti fossili e dati molecolari possiamo infatti datare la separazione tra uomo e scimpanzé a 5.5-7 milioni di anni fa e quella tra uomo-scimpanzé e gorilla a 8.5-12 milioni di anni fa.

Le dimensioni delle popolazioni ancestrali inferite sono variabili. Sembra quindi che fosse in atto un processo di selezione naturale, che ha influenzato uniformemente i genomi. I tassi di evoluzione più rapidi sono associati a geni legati alla percezione sensoriale, allo sviluppo dell’udito e al cervello. In particolare i geni coinvolti nell’udito sono arricchiti soprattutto nel gorilla e nell’uomo. Anche la morfologia dell’orecchio è un tratto esterno insolitamente molto più simile tra questi due animali che tra uomo e scimpanzé. Questa osservazione potrebbe mettere in discussione il legame ipotizzato tra evoluzione dei geni coinvolti nell’udito ed evoluzione del linguaggio.

Sfortunatamente, le analisi condotte non gettano particolare luce sulla storia evolutiva dei cromosomi X e Y (di cui Pikaia ha già avuto modo di parlare qui). La ricostruzione parziale del cromosoma Y depone a favore di una sua rapida evoluzione strutturale nelle grandi scimmie antropomorfe, come già evidenziato dal confronto tra cromosoma Y umano e di scimpanzé (Pikaia ne ha parlato qui).

Che dire invece delle differenze all’interno del genere Gorilla? Recentemente il genere è stato suddiviso in due specie sulla base di diversità molecolari e morfologiche: Gorilla beringei (orientale) e Gorilla gorilla (occidentale), a loro volta suddivise in sottospecie. Nonostante oggi queste specie siano separate di oltre 1000 km, è stato suggerito che esista un flusso genico tra specie presenti nell’est e nell’ovest successivo alla divergenza. I ricercatori hanno quindi cercato di approfondire questa ipotesi. L’occidentale EB(JC) e l’orientale Mukisi diversero circa 1.75 milioni di anni fa, ma il pattern osservato non mostra una netta e definitiva separazione. Sembra infatti che sia esistito uno scambio di individui bidirezionale che è proseguito per circa 500 mila di anni. Le differenze tra specie occidentali ed orientali rappresentano una combinazione di varianti inter-individuali e inter-specie. Sembra inoltre che molte regioni genomiche siano presenti in un numero diverso di copie tra diversi gorilla, molto più di quanto avviene nell’uomo. Ancora una volta, i geni maggiormente coinvolti sono quelli legati al sistema immunitario e all’olfatto. 19 geni attivi in EB(JC) risultano invece inattivati in Musiki, tra cui alcuni importanti per la competizione spermatica. Musiki è fortunato: ha pochi competitori!

La ricerca ha inoltre evidenziato come la situazione dei gorilla africani sia tragica. Nonostante la sottospecie di gorilla di pianura occidentale Gorilla gorilla gorilla, secondo i dati forniti dallo studio in questione, conti circa 200.000 esemplari (secondo altre stime, invece, questi sarebbero solo 10.000), la popolazione di Gorilla beringei graueri (orientale) è decisamente inferiore (7.000 esemplari). La popolazione più colpita è però sicuramente quella dei gorilla di montagna (Gorilla beringei beringei), di cui si contano circa 800 esemplari. Negli ultimi dieci anni le popolazioni si sono ridotte di oltre il 70%. Questi animali sono fortemente minacciati dal degrado degli habitat in cui vivono oltre che dalla caccia. Esistono leggi per la loro tutela, ma i Paesi in cui essi dimorano (come Ruanda, Congo ed Angola) spesso sono vittima essi stessi di guerre. La mancanza di fondi e l’inaccessibilità degli habitat contribuiscono ulteriormente ad una mancata applicazione di queste leggi. Esistono numerosi progetti a tutela di questi animali, come quello portato avanti da anni dal WWF a livello internazionale insieme all’African Wildlife Foundation e alla FFI.

Per informazioni vi invitiamo a consultare questi siti:
http://www.wwf.it/client/render.aspx?root=701
https://www.wwf.it/client/render.aspx?content=0&root=4179
http://www.igcp.org/

Ilaria Panzeri

Riferimenti:

Scally A. et al. Insights into hominid evolution from the gorilla genome sequence. Nature, 483: 169-175 (2012).

International Gorilla Conservation Programme: http://www.igcp.org/