A cosa serve il braccio di Tyrannosaurus?

Erano davvero inutili le piccole braccia del T. rex? I dati paleontologici dicono il contrario…

La domanda che fa da titolo del post è una delle più abusate dal grande pubblico quando si parla di Tyrannosaurus. Lo scopo di questo post è chiudere definitivamente qualsiasi bisogno di ripetere questa domanda; la quale, a sua volta, discende ed alimenta – in un perverso feed-back – una leggenda in merito agli arti anteriori di questo theropode, leggenda che si aggancia alla (abusatissima) inutile discussione sulla saprofagia obbligatoria in questo animale. Il perverso feed-back poi diventa, nell’Era di Facebook, la fonte per innumerevoli meme idioti che ripetono la scenetta del “povero” T-Rex [sic] in situazioni deprimenti a causa delle sue “inutili” braccine.

Tornando al post… ma queste braccia di Tyrannosaurus erano veramente così inutili, o meglio, tornando al titolo, avevano una funzionalità? Ho già affrontato parte di questo argomento in passato, confrontando le braccia di Tyrannosaurus con quelle di Carnotaurus, e parlando delsistema testa-collo di Tyrannosaurus. In quei post mostrai che è Carnotaurus ad avere braccia vestigiali, e che Tyrannosaurus comunque disponeva di un potentissimo “braccio supplementare” dato dal sistema collo-mandibole. Non avevo però affrontato direttamente il tema della funzionalità effettiva delle sue braccia. La domanda parrebbe restare del tutto lecita. O, meglio, la domanda è lecita a patto che non conosciate la letteratura scientifica su Tyrannosaurus. Difatti, la funzione delle braccia di Tyrannosaurus è ben nota e testata: è la medesima delle braccia nella maggioranza degli altri grandi theropodi (abelisauridi esclusi)!

Carpenter e Smith (2001) analizzano nel dettaglio la morfologia dell’arto anteriore di Tyrannosaurus, incluse le aree di inserzione muscolare, confrontano questo arto con quello di altri theropodi (e di Homo), calcolano alcuni parametri biomeccanici utili per determinare le caratteristiche funzionali di questo arto, e stimano la forza di alcuni muscoli di questo braccio. 

Come scrissi in passato, l’arto anteriore di Tyrannosaurus NON è vestigiale. Pur essendo ridotto in lunghezza rispetto al resto del corpo (quando lo si confronta con altri theropodi non-abelisauridi), tuttavia ognuna delle ossa conserva le superfici articolari ben sviluppate e le aree di inserzione muscolare chiaramente visibili, segno di una muscolatura altrettanto sviluppata. La mano, pur avendo solamente due dita funzionali (ma si ricordi che la perdita delle dita laterali è una tendenza generale nei theropodi, non necessariamente legata ad atrofia), presenta le falangi con faccette articolari complete e con gli ungueali robusti e sviluppati. Pertanto, il braccio di Tyrannosaurus (e di tutti gli altri Tyrannosauridae) è “normale” per gli standard theropodi, con le sole eccezioni di essere relativamente corto rispetto al resto del corpo. Quindi, per salvare il mito del braccino inutile, dovremmo dimostrare che avere un braccio corto (che non implichi avarizia) implica una ridotta funzionalità e/o una assenza di “utilità”.

Per risolvere l’enigma occorre risalire al ruolo svolto da quel braccio nella “economia” dell’animale. Carpenter e Smith (2001) analizzano le braccia di Homo, Deinonychus, Allosaurus eTyrannosaurus in base a parametri biomeccanici. Tutte le braccia, difatti, sono interpretabili come leve meccaniche. A loro volta, queste leve si possono classificare in base a due estremi funzionali: “leve veloci” e “leve forti”. Questi due estremi sono ovviamente ideali, ma permettono di confrontare le braccia dei vari animali tra loro per capire se siano più adatte a lavorare “per la velocità” oppure “per la resistenza” (ovvero, se siano più adatte ad afferrare rapidamente oppure siano più adatte a mantenere efficientemente una presa). I calcoli di Carpenter e Smith (2001) collocano Homo e Deinonychus più verso l’estremo “velocità”, mentre Allosaurus e Tyrannosaurusverso l’estremo “resistenza”. Questi risultati sono concordi con il range di escursione (l’ampiezza dell’angolo descritto dalle braccia nello spazio), che è massimo in Homo e Deinonychus e minimo in Allosaurus e Tyrannosaurus: se il vostro braccio è “fatto per la rapidità” richiede una maggiore mobilità nello spazio, ma se è “fatto per la resistenza” richiede maggiori vincoli nelle articolazioni per meglio sostenere le tensioni meccaniche che tenderebbero ad opporsi alla vostra presa (leggi: una preda che si dibatte e che può quindi disarticolare il vostro braccio pur di liberarsi).

Dalla forma e proporzione delle ossa, e dall’ampiezza delle cicatrici di inserzione muscolare sulle ossa, Carpenter e Smith (2001) stimano la forza del muscolo bicipite di Tyrannosaurus, che risulta più di tre volte quella del bicipite umano. Pertanto, tutti i valori biomeccanici indicano che il braccio di Tyrannosaurus non solo non era vestigiale, ma esercitava una grande potenza finalizzata non alla rapidità del moto dell’arto bensì ad una funzione ben precisa, che chi conosce bene i theropodi ha già incontrato altre volte: mantenere la presa stabile sulla preda. Preda che, ovviamente, non era afferrata in primis dalle braccia, bensì dal principale organo predatorio: le mandibole.

Concludendo, infatti, l’arto anteriore di Tyrannosaurus è perfettamente funzionante e funzionale alla sua anatomia. E lo è coerentemente col suo bauplan theropodiano. Come nella grande maggioranza dei theropodi mesozoici, il primo organo predatorio di Tyrannosaurus era la testa. Una volta afferrata la preda con le mandibole, l’animale trascinava la preda verso il proprio petto, grazie all’azione concertata di mandibole capaci di una pressione enorme e di muscoli del collo altrettanto sviluppati. Ed era a quel punto che le braccia svolgevano la loro funzione, in omologia con quanto svolto da buona parte dei theropodi: la presa estremamente potente delle due braccia, corte e robuste, manteneva un “abbraccio-aggancio” contro la preda, per impedire che si svincolasse. In questo modo, la testa poteva lasciare temporaneamente la presa sulla preda per sferrare una serie di morsi. Per questo motivo le due dita “rimaste” nella mano di Tyrannosaurussono le due più mediali (pollice e indice): sono quelle che contattano direttamente il corpo di una preda posizionata “sotto” il petto del predatore dal trascinamento posteroventrale del sistema collo-mandibole. Senza l’appoggio (letterale) delle braccia – corte ma molto robuste – il sistema predatorio di Tyrannosaurus – focalizzato sulle mandibole – sarebbe stato incompleto e quindi meno efficace.
Pertanto, le braccia di Tyrannosaurus non solo erano perfettamente funzionali, ma anche necessarie al suo stile di vita! Altro che “inutili braccine”…

Andrea Cau, da Theropoda

Bibliografia:
Carpenter K, Smith M (2001) Forelimb Osteology and Biomecanics of Tyrannosaurus rex. Mesozoic Vertebrate Life. Indiana University Press: 90-116.